Relazione del presidente della Fieg Carlo Malinconico: Tutto cambia, cambiamo tutto?

Carlo Malinconico

Il presidente della Fieg, Carlo Malinconico, ha descritto la situazione dell’editoria italiana e il ruolo crescente degli utili provenienti dalla pubblicità nel settore, indicando quali misure occorre intraprendere per rispondere alle nuove sfide portate sia dalla crisi, sia dalla digitalizzazione dei contenuti

Roma, 11 – 12 marzo 2009
Per la stampa la pubblicità è una questione centrale
Con il cambiamento del sistema dei media cresce l’importanza della pubblicità. Il sistema dei media è profondamente cambiato negli ultimi anni e cambierà ancora nei prossimi anni. I ritmi dell’innovazione tecnologica sono incalzanti. Un dato però è certo: la pubblicità manterrà il suo ruolo insostituibile nel sistema. Anzi, in un’epoca in cui l’informazione tende alla gratuità, la sua importanza tenderà a crescere in quanto si consoliderà come prevalente fonte di sostegno per tutti i mezzi, nessuno escluso. La stampa risponde meglio all’esigenza dei consumatori di essere informati e orientati nell’acquisto. La pubblicità è soprattutto un investimento e, in quanto tale, deve obbedire alle regole della redditività, avere cioè un ritorno in termini di crescita di fatturato per coloro che ne fanno uso. Lo scopo che un’industria si propone nel fare pubblicità ai suoi prodotti è appunto quello di indurre il pubblico a un atto di acquisto. Tale scopo può essere raggiunto facendo perno sull’emotività e sulla suggestione provocata da immagini “seduttive” o su un messaggio razionale e coerente con l’esigenza dei consumatori di essere informati e orientati nelle loro scelte d’acquisto. È su quest’ultimo piano che la stampa offre maggiori garanzie rispetto agli altri mezzi per la razionalità del messaggio e del contesto editoriale in cui viene veicolato. Il mercato pubblicitario italiano penalizza la stampa, nonostante la crescita dei lettori e l’integrazione dell’online. Nel nostro Paese, al contrario di quello che avviene nella stragrande maggioranza dei paesi industrializzati, la stampa (quotidiani e periodici) detiene una quota di mercato che nel 2008 è ulteriormente scesa al 33,6 per cento (35,2% nel 2007). Nell’area nel nord Europa, la stampa ha quote di mercato ampiamente superiori al 50 per cento (dal 50,5% della Norvegia al 69,3% della Finlandia). In Germania, la quota è del 62%, in Svizzera del 57,6%, in Gran Bretagna del 43%. Nonostante la crisi, anche negli Stati Uniti la stampa mantiene il ruolo di primo veicolo pubblicitario (42,2%). Affermare che questo stato di cose è imputabile agli scarsi livelli di vendita è semplicistico e parziale. Ciò che interessa agli utenti è individuare gli acquirenti, identificarli e raggiungerli. In questo senso non è tanto il dato di vendita ad avere importanza quanto piuttosto il dato di lettura, vale a dire la massa di contatti con il pubblico che realizzano i giornali. Negli ultimi otto anni i lettori di quotidiani sono costantemente cresciuti: erano 19,5 milioni nel 2000, sono diventati 23,3 milioni nel 2008, vale a dire circa 3,8 milioni di persone in più, con un incremento del 19,5% in termini relativi. Non solo, la crescita del “business digitale” ha riguardato in misura rilevante anche la stampa. Lo testimonia l’elevato numero di lettori on-line ospitati dai siti gestiti da gruppi editoriali. Tra i siti di notizie e di informazioni, quelli riconducibili ad editori di quotidiani sono in testa alla classifica dei più visitati. Nel complesso, secondo le più recenti rilevazioni Audiweb, i siti dei quotidiani hanno totalizzato in un giorno medio 3,6 milioni di contatti e quasi 36 milioni di pagine viste. Si tratta di risultati estremamente significativi che indicano come l’area dell’editoria on line rappresenti la naturale integrazione per l’editoria tradizionale. Il cambiamento dei modelli di business e di consumo dell’informazione messo in moto dal web sta spingendo i giornali verso strategie operative più articolate nel senso che i contenuti redazionali prodotti vengono veicolati attraverso piattaforme il cui denominatore comune è il trattamento digitale, ma con modalità di fruizione diverse. La stampa: un mezzo essenziale per lo sviluppo e un fondamentale ed efficace veicolo di comunicazione commerciale. Vi è un altro luogo comune da sfatare. Si dice, infatti, che al contrario dei giornali, la televisione raggiungendo tutta la popolazione abbia svolto un ruolo unificante sul terreno del linguaggio e dei modelli ci comportamento socio-culturali. Sarà pure vero da un punto di vista antropologico; ma il punto centrale è che la televisione non è stata in grado di svolgere analoga funzione sul terreno dello sviluppo. Ha, per così dire, prodotto un’omologazione verso il basso, senza mettere in moto – almeno in Italia – processi virtuosi comportamentali e conoscitivi. Non a caso, il nostro Paese è ancora alle prese con una questione meridionale irrisolta sul piano economico e sociale. In paesi come Gran Bretagna e Germania, dove la televisione ha un’utenza abituale superiore (92,9% in Gran Bretagna) o prossima (86,2% in Germania) a quella italiana (91,4%), i mezzi stampati hanno mantenuto un’utenza elevata e, proprio per questa ragione, rimangono i principali veicoli di comunicazione commerciale La riduzione delle entrate pubblicitarie dei giornali compromette la sopravvivenza e l’autonomia della stampa. Per la stampa la pubblicità è una questione centrale. Non si può assistere alla riduzione delle entrate pubblicitarie dei giornali, condizione essenziale della loro sopravvivenza ed anche della loro autonomia. Una stampa libera e indipendente non può coprire i suoi aumenti di costo – che sono pesanti e continui – se non con l’aumento dei ricavi da vendita e con quelli da pubblicità. Purtroppo, nell’ultimo biennio la situazione si è aggravata e, nell’anno in corso, non migliorerà, considerato che gli analisti prevedono un mercato pubblicitario ancora in flessione. Nel 2000, i ricavi pubblicitari rappresentavano il 58% del fatturato editoriale dei quotidiani. Nel 2008 l’incidenza si è ridotta al 46/47%. È un rapporto al di sotto del 50/55% che caratterizza i nostri maggiori partners europei ed infinitamente distante da quella percentuale dell’80% che costituisce la media dei ricavi pubblicitari sui ricavi editoriali dei quotidiani negli USA. Dopo l’incremento del 2007 (+3,1%), il mercato pubblicitario italiano ha subito nel 2008 una flessione del 2,8%. Il calo ha assunto dimensioni sempre più ampie nella seconda metà dell’anno per culminare nel dato dicembre 2008 che, rispetto al corrispondente mese del 2007, ha fatto registrare una variazione negativa del 10%. Tutti i mezzi hanno sofferto questo andamento declinante e, in particolare, la stampa: per i quotidiani, la flessione è stata del 6,2%; per i periodici, del 5,9%. Tutte le tipologie di pubblicità dei quotidiani hanno accusato battute d’arresto, inclusa la pubblicità commerciale locale (-0,8%), l’unico segmento di mercato che nei mesi precedenti aveva tenuto. Ma a preoccupare è soprattutto la flessione della pubblicità commerciale nazionale (-9,5%) che rappresenta il bacino dal quale i quotidiani attingono le maggiori risorse. Ancora più allarmanti i dati di gennaio diffusi la settimana scorsa, con una riduzione del fatturato dell’ordine del -25,2% rispetto all’analogo mese dello scorso anno.

Alcune proposte della Fieg per il riequilibrio nella ripartizione delle risorse pubblicitarie

Il mercato pubblicitario ha bisogno di regole per rispondere all’esigenza di un maggiore equilibrio tra i mezzi. Il processo in atto getta molte ombre sul futuro della stampa e, al di là degli effetti del momento di grave recessione che attraversa l’economia mondiale e del calo generalizzato degli investimenti pubblicitari, impone un’attenta riflessione sulla struttura del mercato e sull’esigenza di un maggiore equilibrio tra i mezzi che operano al suo interno. Si tratta di governare i processi per evitare di esserne travolti.

Limiti antitrust nella raccolta pubblicitaria televisiva.

È necessario ripensare i limiti antitrust per la raccolta pubblicitaria televisiva, prevedendo vincoli per i soggetti verticalmente integrati che controllano contemporaneamente la distribuzione e la produzione di contenuti televisivi. É, infatti, singolare la diversità di trattamento tra le concessionarie di pubblicità della carta stampata, soggette a stringenti limiti (non potendo raccogliere pubblicità per un numero di quotidiani la cui tiratura complessiva superi il 30% di quella nazionale, ovvero il 20% se la concessionaria è controllata o controlli una impresa editrice) e le concessionarie di pubblicità televisiva che sono, invece, sottoposte esclusivamente ad una verifica ex post sulle posizioni dominanti del mercato.

Regolamentazione dell’attività di intermediazione pubblicitaria (c.d. “centri media”)

Per garantire la trasparenza del mercato pubblicitario si propone di disciplinare l’attività di intermediazione sulla pubblicità, attualmente non soggetta ad alcun limite anticoncentrazione (a differenza di quanto previsto per le concessionarie di pubblicità), prevedendo per gli intermediari (centri media) l’obbligo del mandato scritto del mandatario e il divieto di ogni remunerazione o vantaggio da parte dei soggetti diversi dai committenti (le cosiddette overcomissioning pagate dai mezzi agli intermediari).

Recepimento della direttiva UE “Tv senza frontiere”

Nell’ambito del recepimento della direttiva del Parlamento e del Consiglio 2007/65/CE andrebbe capovolto il principio espresso dall’art. 17 del ddl della Comunitaria 2008 (AS 1078) – che prevede la possibilità dell’inserimento di prodotti (cd. product placement) nei programmi televisivi a favore della norma, contenuta nel considerando 61 della stessa direttiva, che ritiene, in linea di principio, proibito l’inserimento di prodotti nei programmi. È vero che lo stesso considerando ritiene possibili, limitatamente ad alcuni tipi di programmi, deroghe a tale principio, ma stabilisce anche che “uno Stato membro dovrebbe avere la facoltà di dissociarsi, totalmente o parzialmente, da tali deroghe”. Recepire nella disciplina nazionale il principio comunitario di proibire l’inserimento di prodotti all’interno dei programmi eviterebbe una ulteriore accentuazione degli squilibri esistenti sul mercato della pubblicità.

Norme asimmetriche in favore della carta stampata

É opportuno introdurre vincoli legislativi asimmetrici nella distribuzione delle risorse pubblicitarie, per riequilibrare gli investimenti pubblicitari nella carta stampata. Per vincoli asimmetrici si intendono, ad esempio, limiti più bassi all’affollamento pubblicitario orario (oggi pari al 18% di ogni ora di programmazione per le emittenti nazionali private e al 12% per la concessionaria del servizio pubblico); norme più severe sulle interruzioni pubblicitarie; la previsione di “fasce protette” in cui vietare le trasmissioni pubblicitarie; disposizioni che vietino le telepromozioni condotte da presentatori o da personaggi aventi un ruolo preminente nei programmi o negli spazi immediatamente adiacenti. In numerosi Paesi europei vigono vincoli normativi asimmetrici, soprattutto nei confronti del servizio pubblico: in Gran Bretagna la pubblicità e la sponsorizzazione dei programmi è vietata sulla Bbc salvo specifica autorizzazione del Ministro competente; in Germania i due canali tv pubblici possono trasmettere al massimo 20 minuti al giorno di pubblicità, solo nei giorni feriali e prima delle ore 20; in Olanda la pubblicità non può interrompere i programmi. Si potrebbero introdurre parziali interdizioni della pubblicità sulle reti pubbliche, sul modello di quanto recentemente stabilito in Francia così da facilitare la riallocazione su tutti i media delle risorse liberate.

Potenziamento della comunicazione di interesse dei cittadini

Si propone una norma di principio che stabilisca che tutte le leggi statali e regionali nonché i regolamenti di autorità indipendenti e/o di vigilanza che prevedano forme di comunicazione ai cittadini al fine di garantire una maggiore trasparenza dell’attività amministrativa e giudiziaria utilizzino i giornali quotidiani e periodici per le suddette comunicazioni. È necessario rivalutare la funzione insostituibile della stampa quale strumento per assicurare trasparenza e conoscibilità all’azione dello Stato e degli enti pubblici, contrastando le preoccupanti tendenze in atto che puntano a sostituire la pubblicità legale sui giornali con la pubblicazione di atti e documenti della pubblica amministrazione sui siti internet (cd. dematerializzazione). Pensiamo anche ad un maggior ricorso da parte di soggetti privati a forme di comunicazione sulla stampa per questioni che rivestono particolare interesse per il diritto dei cittadini ad essere informati, come ad esempio la pubblicazione obbligatoria delle sentenze di condanna per reati di particolare allarme sociale (in materia urbanistica, ambientale, di tutela della sicurezza sul lavoro, ecc), la pubblicazione delle motivazioni e delle modalità degli scioperi nei servizi pubblici, ecc.

La straordinarietà della crisi richiede misure straordinarie

La radicalità della crisi che investe l’editoria giornalistica del nostro Paese richiede misure straordinarie di sostegno al settore. L’editoria giornalistica del nostro Paese sta attraversando una grave crisi resa ancora più pesante dal cumularsi di difficoltà congiunturali a difficoltà strutturali mai risolte. I dati delle vendite e della pubblicità presentano un andamento preoccupante: per fronteggiare una situazione straordinaria occorrono misure straordinarie, sulla scia di quanto stanno decidendo in materia altri Paesi. Cinque misure urgenti per superare gli attuali problemi dell’editoria giornalistica. Fra qualche giorno presenteremo a Governo e Parlamento le proposte degli editori italiani per consentire alle testate giornalistiche di superare la tempesta della crisi e di affrontare le sfide dell’innovazione. Ne anticipo cinque, che, tutte insieme, valgono per lo Stato 70 milioni di euro, un importo – pari a quanto l’Italia spenderà per contribuire alla ricostruzione di Gaza – che riteniamo assolutamente sostenibile: rifinanziare in maniera adeguata il credito agevolato per il settore, fermo dal giugno del 2003, estendendolo alla copertura dei debiti ordinari; prevedere un fondo per la nuova occupazione e la multimedialità (una prima stesura del ddl Levi di riforma dell’editoria prevedeva opportunamente un fondo specifico di 25 milioni di euro annui per cinque anni); reintrodurre il credito di imposta per l’acquisto (o il consumo) della carta in favore delle imprese editrici di quotidiani e periodici; disporre forme di sostegno alla modernizzazione della rete delle edicole e della distribuzione dei giornali (piani di informatizzazione, di ampliamento dei punti vendita, di formazione dei rivenditori, ecc.); liberalizzare il mercato delle spedizioni postali, con la possibilità per gli editori di negoziare direttamente o tramite loro consorzi il prezzo della spedizione in abbonamento dei prodotti editoriali. Proponiamo di passare dall’attuale sistema di agevolazioni tariffarie postali, basato su un meccanismo di compensazione a favore di Poste Italiane a fronte di tariffe ridotte per la spedizione postale di prodotti editoriali, al diverso sistema del credito d’imposta, da concedere alle imprese editrici quali che siano l’operatore postale utilizzato e il sistema di recapito prescelto. Da ciò deriverebbe un risparmio per lo Stato stimabile, date le condizioni del mercato, nell’ordine di 70 milioni di euro annui e che, da solo, coprirebbe la metà dei costi delle altre 4 proposte (il cui costo complessivo stimato risulterebbe di 140 milioni di euro).

FONTE: UPA – SUMMIT SUL COMUNICARE OGGI
AUTORE: Carlo Malinconico

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